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L’EMDR come approccio evidence-based

Nel lasso di trent’anni dalla sua scoperta, ad opera della ricercatrice americana Francine Shapiro, l’EMDR ha ricevuto più conferme scientifiche di qualunque altro metodo usato nel trattamento dei traumi.

Oggi è riconosciuto come metodo evidence based per il trattamento dei disturbi post traumatici, approvato, tra gli altri, dall’American Psychological Association (1998-2002), dall’American Psychiatric Association (2004), dall’International Society for Traumatic Stress Studies (2010) e dal nostro Ministero della salute nel 2003. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nell’agosto del 2013, ha riconosciuto l’EMDR come trattamento efficace per la cura del trauma e dei disturbi ad esso correlati.

L’efficacia dell‘EMDR è stata dimostrata in tutti i tipi di trauma, sia per il Disturbo Post Traumatico da Stress che per i traumi di minore entità.  La ricerca recente mostra che, attraverso l’utilizzo dell’EMDR, le persone possono beneficiare degli effetti di una psicoterapia che una volta avrebbe impiegato anni per fare la differenza.

Alcune ricerche hanno infatti dimostrato che tra l’84% e il 90% dei pazienti che riportavano l’esperienza di un singolo evento traumatico non mostravano più i sintomi di un Disturbo da Stress Post-traumatico dopo sole 3 sessioni di EMDR da 90 minuti ciascuna. L’efficacia dell’EMDR nel trattamento del PTSD è ormai ampiamente riconosciuta e documentata, ma attualmente l’EMDR è un approccio terapeutico ampiamente usato anche per il trattamento di varie patologie e disturbi psicologici.

Data l’importanza che gli eventi traumatici (siano essi traumi singoli che cumulativi e relazionali) rivestono nello sviluppo di differenti patologie, diviene importante affrontarle attraverso un approccio che tenga in considerazione e riesca ad intervenire sull’origine traumatica di tali disturbi.

La ricerca riguardante l’EMDR è una delle prime in cui sono stati evidenziati i cambiamenti neurobiologici che si verificano durante ogni seduta di psicoterapia, rendendo l’EMDR il primo trattamento psicoterapeutico con un’efficacia neurobiologica provata. Le scoperte in questo campo confermano l’associazione tra i risultati clinici di questa terapia e alcuni cambiamenti a livello delle strutture e del funzionamento cerebrale.

Dato il riconoscimento a livello mondiale dell’efficacia di questo metodo terapeutico per il trattamento del trauma, ad oggi più di 120.000 clinici in tutto il mondo usano questa terapia. Milioni di persone sono state trattate con successo negli ultimi anni.

Quali sono le basi dell’EMDR?

L’approccio EMDR, adottato da un numero sempre crescente di psicoterapeuti in tutto il mondo, è basato sul modello di elaborazione adattiva dell’Informazione (AIP). Secondo l’AIP, l’evento traumatico vissuto dal soggetto viene immagazzinato in memoria insieme alle emozioni, percezioni, cognizioni e sensazioni fisiche disturbanti che hanno caratterizzato quel momento. Tutte queste informazioni immagazzinate in modo disfunzionale, restano “congelate” all’interno delle reti neurali e incapaci di mettersi in connessione con le altre reti con informazioni utili. Le informazioni ”congelate” e racchiuse nelle reti neurali, non potendo essere elaborate, continuano a provocare disagio nel soggetto, fino a portare all’insorgenza di patologie come il disturbo da stress post traumatico (PTSD) e altri disturbi psicologici.

Le cicatrici degli avvenimenti più dolorosi, infatti, non scompaiono facilmente dal cervello: molte persone continuano dopo decenni a soffrire di sintomi che ne condizionano il benessere e impediscono loro di riprendere una nuova vita.

L’obiettivo dell’EMDR è quello di ripristinare il naturale processo di elaborazione delle informazioni presenti in memoria per giungere ad una risoluzione adattiva attraverso la creazione di nuove connessioni più funzionali. Una volta avvenuto ciò, il paziente può vedere l’evento disturbante e se stesso da una nuova prospettiva.

L’EMDR considera tutti gli aspetti di un’ esperienza stressante o traumatica, sia quelli cognitivi ed emotivi che quelli comportamentali e neurofisiologici. Utilizzando un protocollo strutturato il terapeuta  guida il paziente nella descrizione dell’evento traumatico, aiutandolo a scegliere gli elementi disturbanti importanti.

Al termine della seduta di EMDR, quando il processo di rielaborazione ha raggiunto la risoluzione adattiva, l’esperienza è usata in modo costruttivo dalla persona ed è integrata in uno schema cognitivo ed emotivo positivo.

Attraverso il trattamento con l’EMDR è dunque possibile alleviare la sofferenza emotiva, permettere la riformulazione delle credenze negative e ridurre l’arousal fisiologico del paziente.
Questo approccio risulta efficace anche con i pazienti che hanno difficoltà nel verbalizzare l’evento traumatico che hanno vissuto. L’EMDR, infatti, utilizza tecniche che possono fornire al paziente un maggior controllo verso le esperienze di esposizione (poiché non si basa su interventi verbali), e che possono aiutarlo nella regolazione e nella gestione delle emozioni intense che potrebbero scaturire durante la fase di elaborazione.

Come aiutare i bambini ad elaborare il trauma

E’ necessario dare messaggi chiari, trasmettere al bambino le informazioni in modo aperto e sincero, soprattutto riguardo quello che è successo, quello che sta succedendo e quello che succederà.

Le spiegazioni devono tenere conto ovviamente dell’età del bambino. I genitori sono le persone più indicate per informare e preparare il bambino, se questo non è possibile allora deve farlo una persona che il bambino conosce bene, di cui si fida.

Deve esserci il tempo e la tranquillità necessaria per parlare. L’adulto deve ascoltare le domande del bambino e rispondere con sincerità, accettare e rispettare le emozioni del bambino.

I bambini reagiscono in modo diverso, alcuni piangono o protestano oppure negano la realtà, altri dimostrano apatia e si comportano come se non avessero sentito quello che gli è stato appena spiegato, ma devono avere la possibilità di poter riprendere l’argomento con le loro domande e di ricevere risposte sincere.

Se non ci sono risposte, allora bisogna dirlo al bambino, i bambini questo lo capiscono.

È importante ricorrere a volte al supporto di uno psicoterapeuta, soprattutto se le persone con cui vive il bambino non sono in grado di aiutarlo.

L’intervento terapeutico è in genere di breve o media durata ed è importante non solo per risolvere il problema emotivo post-traumatico ma anche come prevenzione di difficoltà future.

il trauma nei bambini

I bambini e le loro emozioni

Che cos’è la psicoterapia?

La psicoterapia è un processo consapevole e pianificato volto ad influenzare disturbi del comportamento e situazioni di sofferenza attraverso mezzi psicologici per lo più verbali in vista di un fine che può essere la riduzione del sintomo o la modificazione della personalità.

Ci sono terapie fondate sul rapporto umano paziente-terapeuta e terapie fondate su tecniche sperimentali.

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Linee Teoriche – Da Freud ad Oggi

Nella psicoanalisi centrale è il ruolo giocato dall’inconscio e ancora di più dagli affetti che assumono un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dell’individuo. Certo è che se per Freud sessualità e aggressività guidavano ogni azione umana e la relazione contava poco per i suoi successori a partire dalla nota M. Klein per finire con D. Winnicott la relazione madre-bambino diventa il nuovo oggetto di studio. Il mondo interno assume un ruolo centrale e i sentimenti, le passioni, le esperienze emotive, l’amore e l’odio sono alla base delle motivazioni umane.
La psicoanalisi assumeva che l’esperienza della prima infanzia fosse dominata da un mondo di fantasie e che molti degli abusi e delle ingiustizie che i pazienti riferivano di aver patito da piccoli rappresentassero piuttosto delle costruzioni distorte prodotte dalle stesse forze interne da cui avevano preso origine i loro conflitti nevrotici. In realtà purtroppo molte delle esperienze di abuso subite da piccoli dalle persone sono state reali. Selma Fraiberg aveva assistito numerosi pazienti che avevano patito abusi e maltrattamenti proprio dalle figure da cui avrebbero dovuto aspettarsi amore e protezione. Quello che la Fraiberg aveva rilevato era la assoluta incoerenza tra il contenuto del ricordo e l’affetto corrispondente in quanto spesso questi ricordi venivano narrati con totale distacco emotivo o addirittura giustificando chi ne era stato l’artefice. Quegli stati affettivi dimenticati e dissociati dalla vita di tutti i giorni una volta che queste vittime avessero avuto dei figli si sarebbero ritrovati nello stesso contesto in cui certi eventi traumatici si erano prodotti vale a dire nella condizione di intimità con il bambino che diventava bersaglio designato della ripetizione di quegli eventi. La patologia nasceva dunque dalla difesa messa in atto e dal barricamento dell’emozione. Diventava allora indispensabile quando si interveniva con questi genitori farli parlare della loro relazione coi propri genitori, far loro raccontare della loro vira da bambini, di che succedeva in casa e di quale rapporto ci fosse fra i genitori. Sembra insomma che il bambino sin dal momento in cui viene al mondo debba portare su di sé il peso di chi lo ha fatto nascere per diventare l’attore inerme e inconsapevole del dramma familiare. La storia però non è destino e accanto a questi casi c’è ne erano altri di desolazione violenza e abbandono che non avevano pero intaccato il solido e amorevole legame di chi li aveva subiti con i loro figli. Ciò che faceva la differenza, affermava la Fraiberg, era il tipo di difesa che era stato avviato all’epoca del trauma infantile perché quello che conta, ci insegna lea psicoanalisi, non sono i fatti ma come li elaboriamo e le rappresentazioni che ne abbiamo.

Mancata elaborazione del lutto

Il dolore fa male ed evitarlo o attenuarlo è una reazione comprensibile. Il punto è che non è possibile evitare tutto il dolore e molti modi che vengono usati per luttocercare di evitarlo o annullarlo non solo si dimostrano inefficaci, ma anche dannosi, perché conducono a una non realizzazione del sé.

Il dolore depressivo è proprio dell’esperienza di perdita di qualcosa di buono che avevamo o che eravamo. E’ questa un’esperienza comunemente nota come “elaborazione del lutto”. L’elaborazione del lutto è dunque quel particolare processo mentale, lungo e complesso, che conduce ad un consapevole rassegnarsi alla perdita subita. Questo processo porta ad una progressiva consapevolezza sia emotiva sia cognitiva della perdita subita, ad una sua accettazione; ad un riconoscimento schietto del dolore che si stà vivendo e della sua legittimità, fino ad una ristrutturazione della percezione di sé, che tenga conto della perdita. Per poter lasciare andare il passato senza perdere l’integrazione di sé è dunque indispensabile ricordare.

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