Mese: Aprile 2024

COME FUNZIONA LA PSICOTERAPIA?

COSA DETERMINA IL CAMBIAMENTO NEL LAVORO TERAPEUTICO?

Nella relazione con il paziente a volte non accade nulla, c’è ripetizione a tratti monotona e sterile. Poi, improvvisamente, qualcosa cattura il nostro interesse. Un guizzo, qualcosa che il paziente dice o fa che ci ridesta. Giunge con il movimento lento, impercepibile, in una dimensione dove pensieri, sensazioni, emozioni scorrono anche quando non sembra. Qualcosa ci ispira!

Avere un’ispirazione equivale forse a sviluppare ulteriormente la creatività, l’attenzione, la riflessione  e rafforza la capacità di trasformare la realtà di quella storia vissuta ma non pensata che il paziente porta in terapia.

Penso che avere un’ispirazione equivalga a vivere con più consapevolezza di sé e con più pienezza dentro e fuori dalla stanza di terapia.

La psicoterapia rappresenta quello sforzo riflessivo, consapevole, a lasciare andare una vitalità inconscia istintiva  che erompe da dentro e genera un pensiero nuovo.

Solo l’ispirazione rende viva un’opera d’arte e lo stesso vale per la terapia.

Per quanto la tecnica possa essere impeccabile, è solo entrando in risonanza con la dinamica di funzionamento di quel paziente in quel momento, in quel modo che si raggiungerà quella sintonizzazione emotiva che consente l’accesso e la trasformazione dei livelli più profondi del sé.

L’obiettivo è quello di raggiungere e di intercettare qualcosa che non può ancora essere stata  pensata,  senza forma, per aiutarla ad affiorare rendendola percepibile e pensabile.

 L’ispirazione crea significati nel confronto che diventano  spunto per nuove ispirazioni  provocando turbamento, tollerando il vuoto di pensieri, senza riempirlo prematuramente di significati posticci  ma consentendo di metabolizzare l’esperienza, facendo decantare le sensazioni e lasciando emergere nuove immagini nelle fantasie e nei sogni.

Pellizzari diceva di come fare psicoterapia sia un’arte, l’arte di stare nell’area del possibile, quella fatta delle risorse che si hanno in quel momento che stanno sia in capo al paziente che al terapeuta e all’ambiente in cui sono collocati entrambi. Curiosità, passione e piacere sono gli ingredienti fondamentali perché si impari davvero qualcosa dall’esperienza e si possa manifestare l’ispirazione. L ‘ispirazione scaturisce dalla passione perché se non ci si appassiona di quello che si sta facendo e  della storia del paziente non si può trasmettere interesse e curiosità al paziente affinché provi a vedere e a narrare la sua storia in un altro modo.

Nella psicoterapia il paziente conosce il suo terapeuta attraverso il transfert, attraverso il suo tendere a “trasferire” sul terapeuta i suoi conflitti irrisolti con le persone importanti della sua vita.

Ciò gli permette di conoscere e trasformare se stesso, le proprie teorie su chi è, di diventare più padrone di sé. Si tratta di un incontro che diviene fonte di scoperta e di esplorazione tra i due interlocutori.

La messa in scena nel transfert delle situazioni traumatiche, generatrici di una sofferenza indicibile , è alla base della loro elaborazione terapeutica. Ma ci sono anche i sentimenti che il paziente suscita in noi che ci guidano verso la conoscenza dell’altro e di noi stessi (controtransfert).

Entrambi questi concetti di transfert e controtransfert diventano fonte dei ispirazione nella terapia, introducono qualcosa di nuovo.

La metafora, la  poesia, le storie, il gioco danno voce  a qualcosa che è presente ma non sa parlare di sé; ci fa vedere le cose in un modo tale da rivelarcele diverse da come eravamo abituati a vederle. Rende visibile l’invisibile.

Al paziente, quando si porge l’immagine giusta si da modo di dire la sua storia e di dare voce al sentimento muto presente dentro di lui.

Lo scopo del nostro lavoro è di “rimettere nel cuore i frammenti bloccati di un passato che non passa” e lo possiamo fare solo attraverso la nostra sensibilità e la nostra capacità di “entrare in gioco” nella relazione con il paziente con fantasia, audacia, e il piacere della nostra curiosità.

Il compito della terapia è quello di creare un’area di riflessione non scontata che possa sorprendere, incuriosire e generare una conoscenza nuova, rendendo la sofferenza interessante e diventando così l’occasione di una  crescita, di una trasformazione.

Milena Lazzari

psicologa-psicoterapeuta

 VIVERE O MORIRE

Il tentativo di suicido in adolescenza

L’adolescente che cerca di uccidersi compie un’azione di crudeltà verso se stesso e verso le persone che sono in relazione con  lui.

Nel corso delle terapie con questi ragazzi viene  fuori rabbia e desiderio di vendetta e un dolore intollerabile causato da un intimo e profondo sentimento di inadeguatezza che li accompagna da sempre.

Se un giovane cerca di togliersi la vita non è mai il caso di sottovalutare, minimizzare o sdrammatizzare perché si vede che qualcosa di grave c’è se si prova il desiderio di morire. Quello che è davvero efficace e può rappresentare nel tempo un deterrente a cercare di procurarsi la morte è offrirgli una relazione di senso, una presenza sollecita e una condivisione anche di momenti di vuoto, di dolore e di sentimenti perché il suicidio avviene quando un ragazzo si convince che la  trama delle sue relazioni familiari, amicali e amorose è fasulla.

Occorre tenere legati i ragazzi dentro delle relazioni dove sentano di poter parlare della morte.

A volte i genitori sono emotivamente sordi perché non colgono la richiesta di aiuto e si attivano solo quando diventa un urlo disperato.

Capire significa accorgersi che il figlio è  cresciuto e sta diventato un soggetto sociale e sessuale,  membro di una coppia amorosa  ed esposto quindi al dolore.

A volte i genitori si rendono conto che dal canto loro hanno preteso troppo o troppo poco .

Il suicidio ha origini profonde nella mente dell’adolescente e nella rete delle relazioni affettive dalle quali sta cercando di trovare la via d’uscita , perché la sua fragilità ha radici lontane. La questione urgente alla base del tentato suicidio è il ritardo nel crescere e la fatica a separasi dall’area materna.

La convinzione di questi ragazzi  è che il futuro sia morto,  che non ci sono progetti e vocazioni da realizzare. Si sentono inadeguati a relazionarsi con i processi di crescita.

L’adolescente, relegato in un eterno presente buio, diventa incapace di sperare,  di progettare. Non è tanto disposto ad assumersi la responsabilità del suo futuro e di quello che diventerà.

Nella sua vita è in corso un lutto per un sé che non può mantenere le premesse di grandiosità che erano state fatte durante l’infanzia.

Da qui deriva il trauma della perdita della perfezione e il lutto per la morte di un futuro troppo bello per essere vero, di cui l’adolescente deve prendere consapevolezza accettando che la vita sia piena di limiti e imperfezioni ma vale comunque la pena di essere vissuta.

L’adulto deve ammettere che la vita è fatta di dolore e perdite.

Gli adolescenti spesso non lo sanno, anzi sono stati ingannati  proprio sull’esistenza del dolore e della perdita. Loro si distraggono, si divertono  assordandosi, usando sostanze anestetiche o euforizzanti per non avvertire il dolore ma in realtà il fatto è che anche i ragazzi possono soffrire  e quando ciò accade non sanno come fare a gestirlo visto che non l’hanno mai imparato , perché non sanno se passerà quel dolore così intenso e pensano che la vita sia solo sofferenza.

I ragazzi più fragili sperimentano sentimenti di vergogna e di mortificazione di una tale intensità che il dolore che ne deriva è cosi insopportabile da dare sfogo ad una rabbia vendicativa nei confronti dell’oggetto capace di suscitare una tale umiliazione e sofferenza. Ma quella rabbia finiscono per rivolgerla in primis contro se stessi.

Dover mostrare che nel futuro non ci sarà nessuna grandiosità o talento particolare ma prestazioni normali  suscita vergogna, basata sulla consapevolezza di essere incapace di attendere alle aspettative di grandezza.

Gli adolescenti sono alla disperata ricerca di un riconoscimento,  di uno sguardo  rispecchiante che non arriva mai, risultando invece implacabilmente severo. Il messaggio che arriva e che loro sono sbagliati ma è sbagliato anche il modo sacrificale, esagerato  con cui certe madri e certi padri svolgono il loro compito di crescita del figlio o di attese che il figlio realizzi qualcosa di davvero speciale nella propria vita.

Genitori che muovono una critica, un rimprovero aspro, l’indifferenza, la svalutazione, l’abbandono o una valutazione negativa. 

Il suicidio è quasi sempre un modo per riscattarsi dall’offesa della ferita narcisistica subita. Solo quando l’oggetto è disposto a ritirare le proprie aspettative si allenta la pressione   e si possono evitare le ritorsioni.

Di fondamentale importanza per superare il blocco evolutivo è sganciarsi dall’area iperprotettiva materna per realizzare, accompagnati dal padre , progetti  meno idealizzati e raggiungibili con la costanze  e l’impegno.

Al padre va il compito di legittimare la femminilità della figlia e la virilità del maschio aiutandoli a comunicare i sentimenti che hanno a che fare con il corpo, l’aggressività  e il desiderio.

L’unico antidoto all’attrazione che esercita la morte è costruire legami solidi e significativi che sappiano contenere il pensiero della morte stessa facendo sentire l’importanza dei vincoli che si creano, all’interno dei quali occorre parlare delle fatiche del vivere.

Milena Lazzari – Psicologa-psicoterapeuta