L’USO DELLA TECNOLOGIA IN ADOLESCENZA

ragazzi di oggi, i cosiddetti «nativi digitali», sono nati e cresciuti in un contesto tecnologico e oggi chi non usa la tecnologia è considerato un outsider della società.

I giovani vivono la tecnologia, e lo smartphone in particolare, come qualcosa di cui non riescono a fare a meno. Diverse ricerche condotte in Italia dai soci del Minotauro sull’utilizzo di Internet da parte degli adolescenti rilevano che chi usa la Rete ha di solito anche una vita di buon livello e amicizie reali, a meno che non emerga un reale disturbo patologico. Sono invece i “non utilizzatori” quelli che stanno peggio e hanno maggiori problemi di socializzazione.

Altro dato di fatto è che il cellulare o gli altri device li regalano mamma o papà. È una scelta educativa importante e una volta fatta non si può rinnegare. All’inizio il cellulare è spesso usato dalle mamme come cordone ombelicate virtuale e consente ai ragazzi di ottenere un’autonomia fittizia: “chiamami quando arrivi, scrivimi come è andata la verifica ecc…” Poi quando questo fitto meccanismo di comunicazione che consente di stare sempre in contatto viene spostato dalla famiglia al contesto di amici, e alla mamma non si risponde più con tanta assiduità, allora viene criticato. Eppure è normale che un adolescente sano cerchi affetto e vicinanza dai propri coetanei.

Bisogna inoltre considerare che, essendo quasi totalmente scomparsi i luoghi di aggregazione spontanea (es. giardini, piazze, oratori,ecc..), questa generazione ha trovato nella Rete un nuovo modo per stare insieme autonomamente senza la presenza degli adulti.

Non di rado si sente dire: “ci vediamo alla partitella”, che però non è quella al campo di calcio, ma è il videogioco in Rete. Nelle chat di classe c’è sempre qualcuno che fa le battute, qualcun altro che posta video, altri ancora che si fanno carico dell’angoscia e solitudine dei compagni. Quello che succedeva in piazza, ora succede online. Ma le paure e le fragilità sono le stesse delle generazioni passate, è cambiato solo il mezzo con cui comunicarle e per questo appaiono amplificate. A volte in rete avviene un vero e proprio allenamento alle competenze necessarie alle relazioni: i ragazzi si esercitano online postando magari l’ultimo taglio di capelli, o un vestito nuovo per studiare la reazione virtuale prima di mostrarsi nella vita reale. Non a caso è quasi sempre visibile l’evoluzione dell’utilizzo dei social: i profili dei preadolescenti sono molto attivi, sono quelli che più rincorrono i “like”. I più grandi invece quando la personalità è più strutturata, sentono sempre meno il bisogno della rassicurazione online. Infine lo schermo protegge e può aiutare i più timidi.

Il primo passo che noi adulti dovremmo quindi fare, quando ci approciamo agli adolescenti e all’utilizzo che fanno delle tecnologie, non è quello di soffermarci su “quanto usano” internet e i vari device ma sul “come” lo fanno. Dobbiamo arrivare a capire se vita reale e vita virtuale del ragazzo si intrecciano o meno. In sostanza, bisogna comprendere se l’utilizzo che l’adolescente sta facendo dello schermo sostiene i suoi “compiti evolutivi”, ossia se in qualche modo lo aiuta a costruirsi un’identità o, se invece, costituisce un rifugio dalla realtà.

Come sostiene Lancini “bisogna vedere se il ragazzo continua ad andare a scuola, se la sua cerchia di amici online è parallela a quella reale. Se rimane chiuso in casa senza frequentare nessuno probabilmente c’è un disagio. La radice del problema però non è quasi mai Internet in sé poiché i ritirati sociali più gravi non navigano nemmeno in Rete”.

Un altro aspetto importante è che trincerarsi dietro ai “non so”, “non conosco”, “non capisco” ha creato nei ragazzi l’idea che quando si tratta di tecnologia gli adulti non sono un punto di riferimento. Tutto questo è pericoloso perché crea una sorta di autonomia illusoria.

Rifiutare a priori ciò che non conosciamo o che non è della nostra generazione banalizzandolo a una perdita di tempo, uccide la comunicazione con gli adolescenti perché sentono che il loro mondo è attaccato, svalutato e la rottura talvolta è irrecuperabile. La parola d’ordine per mamma e papà è “incuriosirsi”, cercare di capire che cosa fanno i propri figli online, entrare nell’ordine di idee che youtuber (giovani iscritti al canale Youtube su cui caricano video personali) e videogiochi (per quelli più diffusi sul mercato come Minecraft o League of Legends servono tra l’altro ottime competenze) sono nuove modalità di comunicazione. Ignorarlo significa dare loro indipendenza e autonomia nel gestire una grossa fetta della loro vita senza l’aiuto di un adulto.

I genitori dovrebbero imparare a domandare ai figli “come va oggi la vita virtuale?” con la stessa naturalità con cui chiedono “come va a scuola?”, dando al mondo dietro agli schermi il medesimo peso che danno alla realtà. Attraverso il dialogo i genitori possono arrivare a capire se c’è un problema, anche se non si possono obbligare i figli a confidarsi. Il compito dei genitori è quello di rassicurare i figli sul fatto che sono presenti e possono accompagnarli ad un uso responsabile della tecnologia, ancora meglio se con l’aiuto e l’alleanza della scuola.