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COME FUNZIONA LA PSICOTERAPIA?

COSA DETERMINA IL CAMBIAMENTO NEL LAVORO TERAPEUTICO?

Nella relazione con il paziente a volte non accade nulla, c’è ripetizione a tratti monotona e sterile. Poi, improvvisamente, qualcosa cattura il nostro interesse. Un guizzo, qualcosa che il paziente dice o fa che ci ridesta. Giunge con il movimento lento, impercepibile, in una dimensione dove pensieri, sensazioni, emozioni scorrono anche quando non sembra. Qualcosa ci ispira!

Avere un’ispirazione equivale forse a sviluppare ulteriormente la creatività, l’attenzione, la riflessione  e rafforza la capacità di trasformare la realtà di quella storia vissuta ma non pensata che il paziente porta in terapia.

Penso che avere un’ispirazione equivalga a vivere con più consapevolezza di sé e con più pienezza dentro e fuori dalla stanza di terapia.

La psicoterapia rappresenta quello sforzo riflessivo, consapevole, a lasciare andare una vitalità inconscia istintiva  che erompe da dentro e genera un pensiero nuovo.

Solo l’ispirazione rende viva un’opera d’arte e lo stesso vale per la terapia.

Per quanto la tecnica possa essere impeccabile, è solo entrando in risonanza con la dinamica di funzionamento di quel paziente in quel momento, in quel modo che si raggiungerà quella sintonizzazione emotiva che consente l’accesso e la trasformazione dei livelli più profondi del sé.

L’obiettivo è quello di raggiungere e di intercettare qualcosa che non può ancora essere stata  pensata,  senza forma, per aiutarla ad affiorare rendendola percepibile e pensabile.

 L’ispirazione crea significati nel confronto che diventano  spunto per nuove ispirazioni  provocando turbamento, tollerando il vuoto di pensieri, senza riempirlo prematuramente di significati posticci  ma consentendo di metabolizzare l’esperienza, facendo decantare le sensazioni e lasciando emergere nuove immagini nelle fantasie e nei sogni.

Pellizzari diceva di come fare psicoterapia sia un’arte, l’arte di stare nell’area del possibile, quella fatta delle risorse che si hanno in quel momento che stanno sia in capo al paziente che al terapeuta e all’ambiente in cui sono collocati entrambi. Curiosità, passione e piacere sono gli ingredienti fondamentali perché si impari davvero qualcosa dall’esperienza e si possa manifestare l’ispirazione. L ‘ispirazione scaturisce dalla passione perché se non ci si appassiona di quello che si sta facendo e  della storia del paziente non si può trasmettere interesse e curiosità al paziente affinché provi a vedere e a narrare la sua storia in un altro modo.

Nella psicoterapia il paziente conosce il suo terapeuta attraverso il transfert, attraverso il suo tendere a “trasferire” sul terapeuta i suoi conflitti irrisolti con le persone importanti della sua vita.

Ciò gli permette di conoscere e trasformare se stesso, le proprie teorie su chi è, di diventare più padrone di sé. Si tratta di un incontro che diviene fonte di scoperta e di esplorazione tra i due interlocutori.

La messa in scena nel transfert delle situazioni traumatiche, generatrici di una sofferenza indicibile , è alla base della loro elaborazione terapeutica. Ma ci sono anche i sentimenti che il paziente suscita in noi che ci guidano verso la conoscenza dell’altro e di noi stessi (controtransfert).

Entrambi questi concetti di transfert e controtransfert diventano fonte dei ispirazione nella terapia, introducono qualcosa di nuovo.

La metafora, la  poesia, le storie, il gioco danno voce  a qualcosa che è presente ma non sa parlare di sé; ci fa vedere le cose in un modo tale da rivelarcele diverse da come eravamo abituati a vederle. Rende visibile l’invisibile.

Al paziente, quando si porge l’immagine giusta si da modo di dire la sua storia e di dare voce al sentimento muto presente dentro di lui.

Lo scopo del nostro lavoro è di “rimettere nel cuore i frammenti bloccati di un passato che non passa” e lo possiamo fare solo attraverso la nostra sensibilità e la nostra capacità di “entrare in gioco” nella relazione con il paziente con fantasia, audacia, e il piacere della nostra curiosità.

Il compito della terapia è quello di creare un’area di riflessione non scontata che possa sorprendere, incuriosire e generare una conoscenza nuova, rendendo la sofferenza interessante e diventando così l’occasione di una  crescita, di una trasformazione.

Milena Lazzari

psicologa-psicoterapeuta

L’ADOLESCENTE E IL SUO CORPO

“Non è bella questa età!”

Con queste parole Sara, una ragazza di 15 anni grida al mondo il suo dolore per un passaggio difficile che non sa come affrontare. E’ appena entrata nel centro dove la attende la sua terapeuta. “Era più bello quando ero piccola perché c’era sempre qualcuno vicino, perché ora questo corpo non è più mio”.

Parole dette con la potenza del dolore, urlate in un posto in cui sente che possono essere accolte prima ancora di essere capite e interpretate. Per Sara, i cui primi anni di vita sono stati caratterizzati da un forte disagio, questa fase della vita e sicuramente più difficile di quanto lo sia per altri ragazzi. Nell’affrontare il tema dell’identità corporea  il passaggio dall’infanzia all’adolescenza avviene ormai senza riti di passaggio che ne sanciscano il significato. Il senso di onnipotenza che pervade la vita affettiva del bambino passa nel ragazzo che deve fare i conti con una delle trasformazioni più radicali dell’intera esistenza.

Questo colloca oggi l’adolescenza in una dimensione aspecifica che si estende in un arco di tempo dilatato .

Il ragazzo che chiede un intervento chirurgico per migliorare il proprio naso, la ragazza che vuole migliorare il proprio seno o che si mette a dieta ferrea, i ragazzi che attraverso la depilazione rincorrono un’immagine femminile, adornare il proprio corpo con  tatuaggi e  piercing insieme alla non accettazione di momenti fisiologici come quelli dell’acne sono comportamenti che possono essere interpretati come un rifiuto di abbandonare l’Eden dell’infanzia o anche come un tentativo di aderire agli standard proposti dagli adulti.

Molto è stato detto sulla ricerca della perfezione estetica e sull’eccesso di richieste di standard sempre più elevati di bellezza e successo. Il corpo  è per l’adolescente il luogo sul quale si giocano le principali trasgressioni rispetto al mondo degli adulti che costituiscono un canale di comunicazione con l’esterno. Aderire alla moda dei pari vuol dire indossare una prima identità che lo definisce libero dagli standard della famiglia. Le continue trasformazioni del corpo richiedono una buona dose di adattabilità perché il ragazzo trovi di volta in volta le forme che esprimono il suo peculiare modo di essere al mondo.

Il corpo, che può essere modificato ma non trasformato, può esprimere vigore ma anche essere sede di fastidi, malesseri e malattie accettando le graduali limitazioni al proprio prorompente narcisismo. Ma se il bambino di ieri non è stato abituato a fare i conti con alcun tipo di dolore  e se gli adulti sono capaci di cambiare i propri connotati fisici perché gli adolescenti non dovrebbero fare lo stesso?

Ci sono situazioni in cui il bambino sperimenta l’impossibilità di far fronte a un minimo disagio del corpo  che si caratterizza come un involucro inviolabile cui non bisogna far patire il minimo danno. Manca cioè quel contenimento che consente gradualmente di fare i conti con la tolleranza e con la capacità di attribuire senso. Ci troviamo di fronte ad un corpo che non viene più definito dal limite ma dalla sua possibilità di superarlo anche attraverso l’accettazione di un dolore (fisico) ricercato come esperienza  come ci raccontano certe forme di piercing o il cutting. Ci confrontiamo con un corpo che fatica ad essere mentalizzato perché non c’è tempo di aspettare che il dolore passi e non c’è modo di apprezzare l’originalità della differenza. Il corpo dei nostri adolescenti è diventata la sede di tutti i disagi che costellano la trasformazione e l’espressione di tutti i sentimenti che la pervadono. Come se la frustrazione, la rabbia e la delusione che non sono più contenute a livello mentale e non trovano posto nemmeno nell’adulto, trovassero una via d’uscita in azioni perpetuate sul proprio corpo. Un corpo sul quale vengono a iscriversi ribellioni, proteste sorde, rivalse.

Il cutting è un tentativo di vivere sul proprio corpo un dolore altrimenti indicibile. E’ la possibilità di infliggere un danno  al corpo immacolato dell’infanzia. “Quelle ferite mi ricordano momenti terribili che altrimenti non avrebbero avuto luogo”. Questo mi disse una ragazza che non si era mai permessa di sentire un dolore che aveva vissuto attraverso il corpo. Restava sul corpo una traccia che le dava un senso di continuità, tagli che sembrano aprire una comunicazione tra il mondo esterno e il mondo interno. “Quel sangue mi fa sentire una calma interiore e non mi sento più vuota.

Un sentimento diffuso nei giovani è quello della  vergogna determinato dal non sentirsi all’altezza del mandato genitoriale ovvero “sii te stesso a modo mio”. Parliamo di standard prestazionali d’eccellenza da parte di genitori che non mortificano il talento ma lo esaltano in figli con esistenze sempre più iperattive che si angosciano quando cominciano ad arrancare.

Avere un corpo forte e meglio definito con diete ed esercizio fisico significa plasmare nel corpo la propria identità con un tendere ossessivamente alla perfezione. L’Impossibilità a sostare nel dolore sposta l’attenzione sul corpo, unico oggetto investito. Una virilità e una femminilità dunque fatte di solo corpo. Nel corpo viene messo in atto un conflitto tra controllo e abbandono pulsionale.

I genitori non si possono deludere; non c’è spazio per la rabbia, per la tristezza o per il dolore dell’esistere. Ci troviamo di fronte a un modello materno potente e dominante e ad un modello paterno fragile  e non riconosciuto.

E’ questo il tempo del vuoto identitario. “Ti dico io cosa provi e chi sei” in un ottica di evitamento del dolore e di non separatezza favorite dai genitori che iper-investono nella prestazione del figlio: il fare si sostituisce all’essere e al sentire.

Il corpo è un oggetto esibito e competitivo. Se l’ideale è irraggiungibile il corpo viene attaccato e la vergogna per la propria inadeguatezza spinge il giovane a ritrarsi da qualsiasi vero incontro con l’altro che finisce per essere solo una stampella narcisistica del  proprio sé.

I corpi diafani che si aggirano come fantasmi, i corpi feriti che portano in giro la memoria di un dolore, i corpi inadeguati o superpotenti sono alla ricerca di un significato da dare al proprio cambiamento. E’ necessario non esserne spaventati sdrammatizzando la tragicità senza perdere il contatto con l’intensità della comunicazione per restituire ai ragazzi quel bisogno di sentirsi unici e padroni del mondo come è stato concesso alle nostre adolescenze.

“Non è bella questa età!”

Dott.ssa Milena Lazzari

psicologa-psicoterapeuta

Consultazione e psicoterapia con l’adulto

Quando un adulto consulta uno psicologo la scelta è dettata da uno stato di soffernza che può essere scatenata da diversi eventi o cause: un insuccesso lavorativo, la fine di una relazione, uno stato di isolamento, sfiducia e disistima di sé. La necessità puo essere quella di superare un ostacolo momentaneo oppure quella più a lungo meditata legata ad un’esigenza sempre crescente di approfondire aspetti di sé e del prorio passato che si ritiene abbiano un peso nel determinare quella soffernza. Spesso ci si aspetta di uscire il prima possibile da uno stato di sofferenza e nel modo più indolore possibile ma la soffernza psicologica richiede un minimo di pazienza, tempo e ripetizione per essere affrontata . Non ci sono soluzioni magiche  ma insieme al terpaueta occorre attingere alle proprie capacità riflessive per trovare nuovi significati che spieghino quello stato di sofferenza a partire dal porsi alcune domande su di se:

  • Cosa mi fa stare male ?
  • Cosa mi impedisce di stare bene con me stesso e con gli altri?
  • Quando è iniziato il mio stato di sofferenza ?

Talvolta basta una fase di cosultazione per chiarirsi le idee  altre volte la paura di affrontare la soffernza legata a certi eventi e ricordi porta ad arretrare sotterrando i problemi. Spesso invece si sente l’esigenza di affrontare in modo più approfondito quella sofferenza. Per questo non si possono stabilire tempi e durata del percorso perché dipende dai nodi del proprio malessere e da quanto tempo siamo disposti a concederci per la cura della notra sofferenza. La tecnica della spicoterapia psicodinamica integrata con l’uso dell’emdr e molto utile e proficua per affrontare diverse tematiche.