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L’adolescente e il suo corpo

“Non è bella questa età!”

Con queste parole Sara, una ragazza di 15 anni grida al mondo il suo dolore per un passaggio difficile che non sa come affrontare. E’ appena entrata nel centro dove la attende la sua terapeuta. “Era più bello quando ero piccola perché c’era sempre qualcuno vicino, perché ora questo corpo non è più mio”.

Parole dette con la potenza del dolore, urlate in un posto in cui sente che possono essere accolte prima ancora di essere capite e interpretate. Per Sara, i cui primi anni di vita sono stati caratterizzati da un forte disagio, questa fase della vita e sicuramente più difficile di quanto lo sia per altri ragazzi. Nell’affrontare il tema dell’identità corporea  il passaggio dall’infanzia all’adolescenza avviene ormai senza riti di passaggio che ne sanciscano il significato. Il senso di onnipotenza che pervade la vita affettiva del bambino passa nel ragazzo che deve fare i conti con una delle trasformazioni più radicali dell’intera esistenza.

Questo colloca oggi l’adolescenza in una dimensione aspecifica che si estende in un arco di tempo dilatato .

Il ragazzo che chiede un intervento chirurgico per migliorare il proprio naso, la ragazza che vuole migliorare il proprio seno o che si mette a dieta ferrea, i ragazzi che attraverso la depilazione rincorrono un’immagine femminile, adornare il proprio corpo con  tatuaggi e  piercing insieme alla non accettazione di momenti fisiologici come quelli dell’acne sono comportamenti che possono essere interpretati come un rifiuto di abbandonare l’Eden dell’infanzia o anche come un tentativo di aderire agli standard proposti dagli adulti.

Molto è stato detto sulla ricerca della perfezione estetica e sull’eccesso di richieste di standard sempre più elevati di bellezza e successo. Il corpo  è per l’adolescente il luogo sul quale si giocano le principali trasgressioni rispetto al mondo degli adulti che costituiscono un canale di comunicazione con l’esterno. Aderire alla moda dei pari vuol dire indossare una prima identità che lo definisce libero dagli standard della famiglia. Le continue trasformazioni del corpo richiedono una buona dose di adattabilità perché il ragazzo trovi di volta in volta le forme che esprimono il suo peculiare modo di essere al mondo.

Il corpo, che può essere modificato ma non trasformato, può esprimere vigore ma anche essere sede di fastidi, malesseri e malattie accettando le graduali limitazioni al proprio prorompente narcisismo. Ma se il bambino di ieri non è stato abituato a fare i conti con alcun tipo di dolore  e se gli adulti sono capaci di cambiare i propri connotati fisici perché gli adolescenti non dovrebbero fare lo stesso?

Ci sono situazioni in cui il bambino sperimenta l’impossibilità di far fronte a un minimo disagio del corpo  che si caratterizza come un involucro inviolabile cui non bisogna far patire il minimo danno. Manca cioè quel contenimento che consente gradualmente di fare i conti con la tolleranza e con la capacità di attribuire senso. Ci troviamo di fronte ad un corpo che non viene più definito dal limite ma dalla sua possibilità di superarlo anche attraverso l’accettazione di un dolore (fisico) ricercato come esperienza  come ci raccontano certe forme di piercing o il cutting. Ci confrontiamo con un corpo che fatica ad essere mentalizzato perché non c’è tempo di aspettare che il dolore passi e non c’è modo di apprezzare l’originalità della differenza. Il corpo dei nostri adolescenti è diventata la sede di tutti i disagi che costellano la trasformazione e l’espressione di tutti i sentimenti che la pervadono. Come se la frustrazione, la rabbia e la delusione che non sono più contenute a livello mentale e non trovano posto nemmeno nell’adulto, trovassero una via d’uscita in azioni perpetuate sul proprio corpo. Un corpo sul quale vengono a iscriversi ribellioni, proteste sorde, rivalse.

Il cutting è un tentativo di vivere sul proprio corpo un dolore altrimenti indicibile. E’ la possibilità di infliggere un danno  al corpo immacolato dell’infanzia. “Quelle ferite mi ricordano momenti terribili che altrimenti non avrebbero avuto luogo”. Questo mi disse una ragazza che non si era mai permessa di sentire un dolore che aveva vissuto attraverso il corpo. Restava sul corpo una traccia che le dava un senso di continuità, tagli che sembrano aprire una comunicazione tra il mondo esterno e il mondo interno. “Quel sangue mi fa sentire una calma interiore e non mi sento più vuota.

Un sentimento diffuso nei giovani è quello della  vergogna determinato dal non sentirsi all’altezza del mandato genitoriale ovvero “sii te stesso a modo mio”. Parliamo di standard prestazionali d’eccellenza da parte di genitori che non mortificano il talento ma lo esaltano in figli con esistenze sempre più iperattive che si angosciano quando cominciano ad arrancare.

Avere un corpo forte e meglio definito con diete ed esercizio fisico significa plasmare nel corpo la propria identità con un tendere ossessivamente alla perfezione. L’Impossibilità a sostare nel dolore sposta l’attenzione sul corpo, unico oggetto investito. Una virilità e una femminilità dunque fatte di solo corpo. Nel corpo viene messo in atto un conflitto tra controllo e abbandono pulsionale.

I genitori non si possono deludere; non c’è spazio per la rabbia, per la tristezza o per il dolore dell’esistere. Ci troviamo di fronte a un modello materno potente e dominante e ad un modello paterno fragile  e non riconosciuto.

E’ questo il tempo del vuoto identitario. “Ti dico io cosa provi e chi sei” in un ottica di evitamento del dolore e di non separatezza favorite dai genitori che iper-investono nella prestazione del figlio: il fare si sostituisce all’essere e al sentire.

Il corpo è un oggetto esibito e competitivo. Se l’ideale è irraggiungibile il corpo viene attaccato e la vergogna per la propria inadeguatezza spinge il giovane a ritrarsi da qualsiasi vero incontro con l’altro che finisce per essere solo una stampella narcisistica del  proprio sé.

I corpi diafani che si aggirano come fantasmi, i corpi feriti che portano in giro la memoria di un dolore, i corpi inadeguati o superpotenti sono alla ricerca di un significato da dare al proprio cambiamento. E’ necessario non esserne spaventati sdrammatizzando la tragicità senza perdere il contatto con l’intensità della comunicazione per restituire ai ragazzi quel bisogno di sentirsi unici e padroni del mondo come è stato concesso alle nostre adolescenze.

“Non è bella questa età!”

Dott.ssa Milena Lazzari

psicologa-psicoterapeuta

Mancata elaborazione del lutto

Il dolore fa male ed evitarlo o attenuarlo è una reazione comprensibile. Il punto è che non è possibile evitare tutto il dolore e molti modi che vengono usati per luttocercare di evitarlo o annullarlo non solo si dimostrano inefficaci, ma anche dannosi, perché conducono a una non realizzazione del sé.

Il dolore depressivo è proprio dell’esperienza di perdita di qualcosa di buono che avevamo o che eravamo. E’ questa un’esperienza comunemente nota come “elaborazione del lutto”. L’elaborazione del lutto è dunque quel particolare processo mentale, lungo e complesso, che conduce ad un consapevole rassegnarsi alla perdita subita. Questo processo porta ad una progressiva consapevolezza sia emotiva sia cognitiva della perdita subita, ad una sua accettazione; ad un riconoscimento schietto del dolore che si stà vivendo e della sua legittimità, fino ad una ristrutturazione della percezione di sé, che tenga conto della perdita. Per poter lasciare andare il passato senza perdere l’integrazione di sé è dunque indispensabile ricordare.

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Ansia, il male invisibile

AnsiaAnsia e panico sono sintomi diffusi e spesso segnali di un malessere profondo e  radicato che non trova altra via per esprimersi se non attraverso il corpo. Si tratta di una sofferenza che spesso fa sentire senza via d’uscita e che fa sentire luoghi e situazioni familiari e sicure come minacciose e spaventose. Possiamo senza dubbio affermare che si tratta di un disagio che limita fortemente la qualità della vita di chi  lo sperimenta.

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